Descrizione

Il pensiero della morte domina la vita di ogni uomo: a quel triste e ineluttabile destino, che Atropo indifferente distribuisce a tutto il genere umano, è da sempre subordinato ogni atteggiamento, ogni azione, ogni speranza di sopravvivenza. Se non nel corpo, almeno nel ricordo dei nostri simili. È per questo che, sin dagli albori della civiltà, un ruolo centrale ha sempre rivestito nelle più varie culture umane il momento commemorativo e celebrativo dei defunti e l’elemento che ne rappresenta fisicamente e materialmente le istanze più profonde: il monumento funerario appunto. Il testo opera una rapida disamina delle tradizioni funerarie che si sono succedute nella storia dell’umanità e che hanno dato luogo a interpretazioni a volte molto diverse del rapporto con la morte. In esse l’Architettura funeraria finisce per essere l’unico ponte riconoscibile e dunque efficace tra il mondo dei vivi e quello dei morti, l’unica concreta illusione di eternità. Dal re Mausolo ai Faraoni d’Egitto, dagli Etruschi agli Imperatori romani, da Gengis Kan al Primo Imperatore della Cina, schiere di personaggi, tiranni terribili e sanguinari o saggi e potentissimi sovrani, passano in lunga e malinconica processione davanti ai nostri occhi: ognuno regalandoci sprazzi inaspettati di umana follia o ammirevole pietà. L’analisi è accompagnata da un ricco e puntuale corredo grafico e fotografico, non importante in sé per presunti caratteri artistico-espressivi, quanto piuttosto per essere sempre strettamente subordinato alla fedele illustrazione per immagini dei concetti espressi nel testo. Ogni episodio è indagato cercando di inquadrarlo nel contesto culturale e storico-sociale nel quale fu prodotto, come elemento in grado di restituirci, da un’angolazione particolare, quello che i tedeschi chiamano lo Zeigeist, lo spirito del tempo. Si passa così dal Rinascimento al Seicento, dal mondo Barocco, dominato dalla sua ossessiva concezione di un’oppressiva immanenza della morte, all’algida parentesi neoclassica e infine all’Ottocento diviso tra l’epoca napoleonica e la ricca fioritura dell’Eclettismo, durata fino alla metà del Novecento. Alla suddivisione temporale occorre però associare anche una variazione geografica, dovuta al prevalere in diversi continenti di opposte culture: da una parte quella diffusa e in qualche modo imposta dai conquistadores spagnoli, dall’altra quella protestante di ascendenza nordica. L’ultima emozionante tappa di questo breve e fascinoso viaggio ci riporta in Italia, al tentativo per tanti versi sfortunato dell’ampliamento del Cimitero di Urbino di Arnaldo Pomodoro e a quello ancor più potentemente poetico di Carla Scarpa a San Vito di Altivole, per la cappella della famiglia Brion: un giardino immerso nella pace della campagna trevigiana, dove vagare pensando al “nulla eterno”, accompagnati per mano a riscoprire tutti i segreti messaggi criptati dall’architetto.

 

Saverio Ciarcia è nato a Grottaminarda (AV) nel 1950. Si è laureato in architettura a Napoli nel 1973. Borsista dal 1974 al 1976 è diventato, nel 1980, ricercatore confermato presso la stessa facoltà. Dal 1993 al 2005 ha tenuto corsi di Allestimento e Museografia e di Progettazione architettonica: dal 2006 insegna Composizione Architettonica.
È autore di numerosi saggi su testi e riviste nazionali ed estere specializzate con particolare riguardo a letture metodologico-linguistiche di architetture storiche e contemporanee. Negli ultimi anni si è particolarmente dedicato al recupero ambientale di centri storici e di singoli edifici monumentali e alla progettazione architettonica con particolare riferimento agli aspetti illuminotecnici: dall’illuminazione di spazi interni ed esterni, facciate, giardini e parchi, fino al disegno esecutivo di supporti per apparecchi esterni e subacquei e alla predisposizione di vere e proprie “scenografie di luce”. Dal 2013 è segretario dell’AIDI (Associazione Italiana di Illuminotecnica) per la Regione Campania. Oltre a vari saggi contenuti in Treni (1992) ed in Divieti – Riflessioni su cosa non fare in Architettura (1994), tra le sue principali pubblicazioni ricordiamo: Allestimento Museale – questioni di dettaglio (1998), dedicato alle problematiche inerenti le strategie espositive ed esecutive degli allestimenti museali, e Ignazio Gardella – Il padiglione di arte contemporanea di Milano (2002), omaggio ad uno dei maestri dell’architettura italiana del ‘900, attraverso l’analisi di una delle sue opere più emblematiche e celebrate nel campo dell’architettura museale. Nel 2012 ha pubblicato, sempre su Ignazio Gardella, un libro monografico dal titolo L’architettura di Ignazio Gardella – Il Pensiero e le opere. È infine del 2014 un suo testo su Le Città Ideali del Rinascimento – Contributi per una lettura iconologico-architettonica delle tavole di Urbino, Baltimora e Berlino, una serrata analisi critica non soltanto delle caratteristiche spaziali delle famose rappresentazioni ma dei correlati e spesso solo allusivi richiami alla cultura e alle vicende storiche di quell’epoca avvincente e travagliata.